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L’estetica, la filosofia e la verità dei libri – Parte terza: la verità dei libri
Gadamer, Vattimo e la “verità” della letteratura.
Le obiezioni di Gadamer al neokantismo e al positivismo sono state ampiamente esplicate nei saggi di Gianni Vattimo Poesia e ontologia (1968) e La fine della modernità (1985), nei quali il filosofo italiano precisa che l’estetica postkantiana (incluso l’estetismo filosofico del primo Novecento) ha isolato l’arte dal dominio della verità.
Considerando, però, l’assunto hegeliano per cui «si fa esperienza di verità quando si fa una vera esperienza» e l’assunto gadameriano per cui «è una vera esperienza quella che modifica colui che la fa», Vattimo osserva che, se abbiamo presenti queste espressioni:
capiamo perché la lettura di un’opera d’arte, l’incontro con un’opera d’arte, può essere esperienza di verità. Basti pensare all’esperienza che facciamo quando leggiamo un romanzo: ci cambia la vita. Forse non così radicalmente, ma certo cambia, modifica, la nostra visione del mondo. Ora, effettivamente, questa concezione è di origine hegeliana: la verità è l’incontro con un’alterità che noi assimiliamo, e che quindi non lasciamo stare nella sua estraneità, ma, assimilandola, diventiamo noi stessi altri da quello che eravamo.
Non è affatto inusuale, del resto, imbattersi, anche nella vita quotidiana, in espressioni del tipo “quel libro mi ha cambiato la vita”, “da quando ho letto questo romanzo non sono stato più lo stesso”, e così via. A questo punto è interessante ravvisare che sia Hegel nella Fenomenologia dello Spirito e sia Gadamer in Verità e metodo chiamano l’esperienza Erfahrung. In tedesco “esperienza” si dice anche Erlebnis, ma il sostantivo Erfahrung è connesso al verbo erfahren, che vuol dire “esperire, fare un’esperienza, venire a sapere, venire a conoscenza” e che è un derivato di un altro verbo, il verbo farhren. Ascoltiamo ancora le parole di Vattimo:
In Gadamer è molto importante questa idea dell’esperienza come Erfahrung. La parola tedesca Erfahrung ha da fare anche col viaggiare, col fahren, e implica un mutamento: possiamo fare l’esempio di un individuo che ha viaggiato molto, e che, quando fa ritorno a casa, non può essere esattamente lo stesso, perché ha imparato altre cose, sa altre cose, e queste cose sono diventate parte della sua conformazione mentale. Se compiamo una vera esperienza, e cioè qualche cosa che ci costringe, ci spinge a cambiare, facciamo un’esperienza di verità.
In questo senso, l’incontro con l’opera d’arte, che è l’incontro con una visione del mondo “altra”, che ci scuote, o anche semplicemente che ci arricchisce, rappresenta il senso dell’esperienza del vero che si fa nell’estetica, nella filosofia, nel rapporto con la storia e, non ultimo, con la letteratura. Si tratta di quelle “esperienze-chiave” o “esperienze-fondamentali” che trascendono la mera esperienza empirica in favore di un contenuto spirituale.
E, in chiusura, possiamo ripeterlo anche noi con Cortázar e Mallarmé: Il libro, strumento spirituale.
Andrea Corona
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Andrea Corona il 22 aprile 2012 alle 10:18, ed è archiviato come Parole al vento. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |