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L’estetica, la filosofia e la verità dei libri – Parte seconda: la filosofia
La filosofia. Alcuni cenni sull’estetica postkantiana.
Se Baumgarten individuava l’estetica come la “scienza del sentire in generale” senza applicarla specificatamente ai sentimenti suscitati dall’opera d’arte, il discorso è diverso per le teorie del bello estetico successive.
In questa nuova accezione, affermatasi soprattutto in età romantica e idealistica – pensiamo ad esempio alla sezione sull’arte della Fenomenologia dello Spirito (1807) di Hegel – l’estetica si configura essenzialmente come mediazione e conciliazione di spirito e materia, universale e particolare, infinito e finito, pensiero e sensibilità. Pur legandosi per metà alla sfera materiale e sensibile, tuttavia, riguardo al bello artistico è stato sempre rilevato un difetto di scientificità e di “verità”.
È tesi ampiamente diffusa – e lo è almeno a partire dall’estetica kantiana di fine Settecento, se vogliamo definire dei parametri che, proseguendo con Hegel nell’Ottocento, sono giunti anche in Italia, con Croce, nel Novecento – che, nella dialettica dei distinti, i predicati che si possono attribuire all’arte sono “bello/brutto” ma non “vero/falso”. Ciò significa, in sostanza, che l’esperienza estetica, in quanto soggettiva, viene esclusa dalla sfera della verità. Almeno fino a Gadamer.
“Verità e metodo” e l’ermeneutica filosofica.
Il filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer rivendica, nel suo capolavoro Verità e metodo (1960), lo stretto legame che intercorre, invece, proprio tra esperienza estetica ed esperienza di verità. Opera incredibilmente scorrevole nonostante le quasi 600 pagine che la compongono, Wahrheit und Methode, testo caposaldo dell’ermeneutica filosofica, tratta di quella particolare esperienza di verità che si situa al di fuori dei campi metodologicamente organizzati (da qui il titolo ironico-polemico dell’opera): affrontando ciò che non è metodico per eccellenza, Gadamer si occupa dunque dell’arte, e lo fa recuperando l’ambito di verità di quell’esperienza che più di ogni altra sembra lontana dal vero e dal falso e che è, appunto, l’esperienza estetica.
Gadamer, cioè, contrappone allo scientismo e all’epistemologismo (che dominano la filosofia del primo Novecento e che identificano la verità con il sapere delle scienze positive) l’autenticità di quelle “esperienze-chiave” o “esperienze-fondamentali” dell’esistenza umana come l’esperienza storiografica, l’esperienza filosofica e le esperienze artistiche e letterarie. La denominazione di “ermeneutica”, non a caso, deriva dal greco ermeneutiké [ἑρμηνευτική] e vuol dire letteralmente “interpretazione”. Come scienza, poi, l’ermeneutica è applicata soprattutto all’interpretazione dei testi scritti. Ed è in particolare su questo, sul rapporto coi libri e sulla loro “verità”, che ci soffermeremo nella terza e ultima parte di questo articolo.
Andrea Corona
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Andrea Corona il 18 aprile 2012 alle 15:11, ed è archiviato come Parole al vento. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |