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Intervista ad Antonio Stornaiolo
Ho incontrato Antonio Stornaiolo poco prima di uno spettacolo, dove era atteso come presentatore. Ho subito avuto una buona impressione, mentre attendevo il mio turno di intervistarlo. Nell’intervista subito precedente, ha toccato molti temi, con molta simpatia, suo marchio di fabbrica dai tempi di Toti & Tata, ma anche con molta classe. Stornaiolo è uno di quegli artisti a tuttotondo, che si sono cimentati col teatro, il cinema, la televisione, il giornalismo (è iscritto all’albo sin dal 1995) e la scrittura, con una sua casa editrice e molti lavori pubblicati. Dei suoi inizi, ormai impresso nella memoria dei suoi fan c’è appunto Toti e Tata, con Emilio Solfrizzi (e Gennaro Nunziante come autore dei testi). E con Solfrizzi, poi passato a Striscia la Notizia, c’è stata una reunion recentemente, stavolta per un’opera teatrale. E c’è tantissimo altro già solo tra Rai e Mediaset, da Distretto di Polizia, a La Squadra, a Don Matteo, uno dei personaggi più longevi di Terence Hill. E appunto su questo verte la mia intervista, su questi suoi interessi, così vari ma forse, alla fin fine, non molto dissimili tra loro.
D: Per quanto riguarda il giornalismo, lei è pubblicista dal 1995, ma abbraccia la professione del comico. Quale di queste esperienze l’ha arricchita di più, a cosa è più legato e cosa le piace di più?
R: Partiamo con ordine. Sono legato per lo più a Toti & Tata, la tv e il teatro per me vengono dopo. Aver lavorato di fianco a Renzo Arbore (Speciale per me, Raiuno, ndr) mi ha fatto imparare tantissime cose, che mi servono quotidianamente per un miglioramento costante. Ma la cosa che più mi piace fare è scrivere, anche se non credo nel valore della scrittura come fine ultimo e anzi credo che la scrittura vada depotenziata.
D: La scrittura, appunto. Spesso è bistrattata, qualche consiglio agli esordienti o a chiunque vi si voglia accostare?
R: Scrivere è come fare l’amore, più lo fai e più ti viene voglia. Questo ti porta a farlo meglio, e a non scocciarti mai se veramente c’è la voglia, se è qualcosa che ti piace fare sul serio. Il presupposto è quindi il piacere di farlo. Per scrivere bisogna leggere moltissimo e “copiare” moltissimo, bisogna provare quotidianamente, e dopo molte prove, molte copie di opere che fanno parte della letteratura mondiale, alla fine viene fuori qualcosa di personale, qualcosa di assoluto. Io sono più per la sintesi, non credo che scriverò mai un romanzo, scrivo pensieri brevi, riflessioni. Come per la poesia di Ungaretti, “Soldati”: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Ed ecco raccontata, in sole 9 parole, la paura dei soldati, la paura vissuta in trincea nella prima guerra mondiale. E questa poesia non è stata scritta per “far successo”, che è forse il problema di oggi: molti scrittori puntano alla prima pagina o al bestseller, alla televisione. Se non sei in televisione non sei nessuno, ed è quindi inutile scrivere se non si sfonda. Il primissimo consiglio è quindi scrivere per creare qualcosa di buono, non in vista del successo televisivo o della prima pagina. Kafka non pensava a questo, e ha creato letteratura immortale: se si punta al bestseller si rischia di fare narrativa, e lì sono buoni tutti, non letteratura. Invece, se non ci si pensa, se si scrive per bisogno, o meglio per passione, può venir fuori davvero qualcosa di buono.
E con questa ultima risposta lo saluto e lo lascio alla preparazione della serata. È stato un bel momento, e mi ha dato spunti su cui riflettere, specialmente rispondendo all’ultima domanda. Spero sia stato lo stesso per voi lettori. Alla prossima.
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo il 5 agosto 2010 alle 22:50, ed è archiviato come Le interviste. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |