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Inferno – Dan Brown (Recensioni)
“Inferno” è per me il vero capolavoro di Dan Brown.
Alcuni scrittori sono uccisi dalle loro stesse creature: come Arthur Conan Doyle, qualunque cosa possa aver scritto, verrà sempre ricordato per il personaggio di Sherlock Holmes, così temo che Dan Brown, nonostante questo validissimo romanzo, sarà sempre quello de “Il codice Da Vinci”.
“Inferno” però a mio avviso lo supera su tutta la linea, per i continui capovolgimenti di fronte, per il fatto che ciò che appare vero non lo è, e per la rivoluzione massima, un cattivo che tale non è. Il libro si apre con il professor Robert Langdon in ospedale, a Firenze, una ferita alla testa, sembra causata da un colpo di pistola che lo avrebbe colpito di striscio, una killer che vuole braccarlo e un’amnesia con cui fare i conti. Riesce a fuggire con l’aiuto dell’infermiera Sienna Brooks e si convince che il suo stesso governo lo vuole morto.
In tutto questo, l’ingegnere genetico Bertrand Zobrist ha creato un virus che potrebbe sterminare miliardi di persone, in nome della salvezza della Terra, che va sempre più velocemente incontro al sovrappopolamento, che a sua volta causerebbe danni ingenti e a lungo andare l’estinzione umana.
Il libro mi ha colpito già dalle prime pagine: seppur con metodi dubbi, il fine ultimo di Zobrist, il cattivo del libro, è salvare l’umanità. Per farlo si reca perfino all’OMS per parlare con la direttrice Elizabeth Sinskey, che lo bolla come pazzo. Così l’ingegnere genetico, per portare a termine il piano, si rivolge al Consortium, un ente segreto che in cambio di soldi fornisce qualunque servizio.
Già all’inizio Dan Brown è bravo a tenere sul filo il lettore non ponendo dalla parte dei cattivi Zobrist, ma tenendolo nella zona grigia. Le frasi buttate lì quasi a caso, e che alla fine acquistano tutte senso come un gigantesco puzzle invertendo completamente la natura di ciò che si è letto fino a quel momento, sono la ciliegina sulla torta. Quasi a sottolineare la portata della sua opera, a differenza di “Crypto”, “La verità del ghiaccio” o “Angeli e demoni”, Robert Langdon si sposta di città in città, non tenendosi fisso in un unico posto. Da Firenze va così a Venezia e poi a Istanbul, sullo sfondo la “Divina Commedia” di Dante Alighieri, mentre i misteri si infittiscono, e il professore deve anche capire cosa ha fatto nei giorni di cui non ricorda nulla per colpa dell’amnesia.
Il finale è assolutamente magnifico: non voglio fare spoiler, dico solo che per una volta è positivo che i piani del cattivo vadano a buon fine, perché il suo virus potrebbe sul serio salvare l’umanità.
Mi sono promesso di rileggerlo già appena terminato, ma la voglia di condividerlo con tutti non lo ha fatto stare con me per più di due settimane, per il resto del tempo è stato in prestito da parenti e amici in modo che possano gustarlo a loro volta. Anche adesso, mentre vi scrivo, non l’ho con me quindi la rilettura è di nuovo rimandata. Forse però non sono il solo ad aver colto la portata di questa storia: sembra che il regista ufficiale della serie, Ron Howard, all’uscita de “Il simbolo perduto”, abbia lavorato alacremente alla sceneggiatura, con Tom Hanks già opzionato nel “suo” ruolo del professor Langdon, ma che la Sony Pictures abbia cambiato idea una volta letto “Inferno”, congelando il precedente progetto e spingendo per l’uscita del film omonimo, rivelatosi purtroppo deludente su tutti i fronti.
Titolo originale
|
Inferno |
Autore
|
Dan Brown |
Anno pubblicazione
|
2013 |
Lingua originale
|
Inglese |
Genere
|
Thriller |
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo il 4 febbraio 2015 alle 08:00, ed è archiviato come Recensioni, thriller. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |
circa 9 anni fa
Caro Paolo,
hai tutte le ragioni di questo mondo a definire “Inferno” il vero capolavoro di Dan Brown. Ritengo, però, che molte pagine si sarebbero potute risparmiare senza soffermarsi molto sulla descrizione di luoghi e paesaggi. Da questo punto di vista Brown è il tipico viaggiatore americano che arriva in Italia e rimane allucinato dalla bellezza dell’arte rinascimentale. Oserei dire che questo libro Americano dava snellito un po’ e il ritmo rallentato … troppe corse. Inoltre Langdon è diventato troppo geniale e forse questo suo carattere andava l’usato per renderlo più “mortale”. Che pensi? Un abbraccio
circa 9 anni fa
Le caratteristiche di Robert Langdon sono quelle, in attesa del prossimo capitolo doveva splendere, quindi ci sta.
Sulla lunghezza mi trovi d’accordo, molti autori americani sono prolissi, ancor di più se vivono la Storia, quella del “vecchio continente”. Credo poi che Dan Brown sia letteralmente incantato dall’Europa: ha ambientato i suoi romanzi a Parigi, Roma, e ora è tornato in Italia per poi allontanarsi di poco dall’Europa, andando in Turchia. In America non c’è tutta questa storia, per questo ne è colpito.
Un caro saluto