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Parkour. Attività da mentecatti o forma d’arte?
A volte, si legge sui giornali di ragazzi morti perché caduti al suolo da un muro alto diversi metri. Prima o poi, esce fuori il parkour come causa. Il parkour è una pratica suicida, che spinge i giovani a fare cose estreme e ogni tanto morire nel tentativo di farle, o una disciplina sportiva tra le più complete?
Ovviamente, fare parkour non significa salire sui muri, saltare giù e sperare di non farsi male. Il parkour è una disciplina, fondata da David Belle, che fa dell’efficienza il cardine. Il senso è: hai un punto di partenza e uno di arrivo, e un tracciato, le parcours, da seguire se vuoi essere efficiente. Se ci sono ostacoli lungo il tracciato bisogna superarli, mai girarci intorno.
Un’ottima metafora della vita, non è vero? Se tutti seguissero questo insegnamento nella vita di tutti i giorni, vivremmo in un mondo migliore.
Altro punto cardine, fare tutto in massima sicurezza. Sembra un controsenso, ma è così. Bisogna avere la massima lucidità nel giudicare il proprio corpo, il tracciato, gli ostacoli. Questo differenzia un ragazzo che salta muri e cade rompendosi una gamba, e un traceurs, un “militante” della disciplina.
Militante anche in senso stretto, dato che David Belle ha preso spunto, per sviluppare il parkour, dalle lezioni impartitegli durante il suo periodo di lavoro come pompiere. Una miscela di tutto, arti militari, arti marziali (per la lucidità e la concentrazione necessaria) e voglia di farcela. Voglia di superare gli ostacoli e migliorarsi.
Molti corpi militari usavano e usano tecniche simili: i militari, come i traceurs, nelle loro esercitazioni riproducono una situazione reale, di fuga da un pericolo. Ciò non significa una fuga a rotta di collo, o affrontare pericoli superiori a quelli che il corpo e la mente possono superare.
Ma per chi non ha mai seguito la disciplina, e giudica senza conoscerla, il parkour è fatto da ragazzi che in mente hanno il vuoto assoluto. Nulla di più sbagliato.
Spesso, bersagliato allo stesso modo è il wrestling. In entrambi i casi, a parlarne male sono persone che non hanno alcuna nozione sull’argomento. E non potrebbe far cambiare loro idea vedere semplicemente un filmato. A cambiare dovrebbe essere la loro testa, diventando magari lucida come quella di David Belle o altri traceurs famosi, chiamati sempre più spesso in pubblicità o film dai produttori, che stanno iniziando a fiutare l’affare.
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo il 31 gennaio 2011 alle 09:39, ed è archiviato come Parole al vento. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |