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La medicina della scrittura (1° parte). La terapia dell’arte
Qualche tempo fa, qui accennai a uno dei motivi per cui si scrive: per la soddisfazione di vedere i propri sforzi premiati, vedere una storia pubblicata da qualche parte. Ovviamente non è l’unico motivo, ce ne sono altri. Uno di questi è lampante per chi scrive, molto meno per chi non si occupa di scrittura o di arte in generale.
Fare arte è terapeutico, semplicemente. Stephen King disse tempo fa che “quando la giornata mi va storta, siedo alla scrivania, faccio morire qualche vecchietta o qualche bambino e il mondo torna a sorridermi”. Fare arte, o nello specifico scrivere, è fare questo. È una motivazione anche più importante rispetto a pubblicare, o cercare il successo, sentirsi realizzato o altro ancora. Questo perché la forza per superare ogni ostacolo è sempre dentro di noi, non in aiuti esterni, psicologi o amici che siano. Noi dobbiamo essere il centro del nostro mondo, non il partner, l’amico fidato o il genitore.
In questo contesto si colloca bene la scrittura. La vita non va sempre come speriamo, Facebook e i link lagnosi dei bimbiminkia ne sono la riprova. E allora cosa fare? Subire il colpo o reagire, principalmente.
Uno dei modi più costruttivi per reagire è appunto creare qualcosa di esclusivo. In una storia lo scrittore mette sempre se stesso, c’è qualcosa di lui in ogni personaggio, che funziona tanto meglio, quanto più lo scrittore crede in se stesso e in quel che sta facendo. Ma, mentre crea, fa un’altra cosa, si sfoga. La scrittura è infatti una delle valvole di sfogo più potenti: quanti scrittori, anche inconsciamente, mettono il loro “nemico” nella storia e gli fanno fare una brutta fine?
Così, mentre scriviamo, apriamo la nostra valvola e scarichiamo tutto quanto ci appesantisce l’anima. Nel protagonista c’è un po’ di noi stessi, la parte che amiamo, nell’antagonista il nostro “nemico”, che può essere anche un’altra parte di noi, che mal sopportiamo, e così via. Facciamo danzare questi personaggi e alla fine della terapia, il mondo torna a sorriderci. Magari un po’ di più se il cattivo di turno fa una brutta fine.
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo il 19 febbraio 2011 alle 09:59, ed è archiviato come Corso di scrittura, Parole al vento. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |
circa 13 anni fa
Un’altra preziosissima valvola di sfogo è il sogno. Con i sogni il cervello elabora tutte le emozioni che coscientemente siamo incapaci di affrontare, liberandoci dal loro peso o facendole emergere affinchè vengano sublimate.
Credo che la scrittura sia come i sogni: un’elaborazione indiretta delle sensazioni più intime di un essere umano incapace di comprendere pienamente se stesso.
P.s. è mio parere che il tuo stile perde di tono quando usi termini come “bimbiminkia”
circa 13 anni fa
Hai perfettamente ragione, il ruolo del sogno è imprescindibile, ma c’è dell’altro. Quanta gente crea mondi durante il sonno, tali che ogni singolo sogno potrebbe essere sufficiente per un romanzo intero, e poi durante la veglia resta vittima dei suoi problemi, sempre gli stessi? Non a tutti basta la valvola di sfogo del sogno, mentre quella della creazione artistica è mille volte più potente e basterebbe al più “pazzo” degli uomini.
circa 13 anni fa
we paolè se mi dai qualche consiglio in futuro, visto che sei molto bravo, io ho letto qualche tuo racconto, poi qualche volta ne abbiamo parlato, ci avrei in mente una mezza cosa… in futuro quando mi libererò da qualche impegno, mi servirebbe qualche tuo consiglio
circa 13 anni fa
Marco, puoi chiedermi quel che vuoi. Se ti va continua a seguire il corso, e quando sarai pronto a mettere nero su bianco le tue idee fammi sapere. Ovviamente vale anche per tutti gli altri lettori, spero troviate le “lezioni” di vostro gradimento.