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La medicina della scrittura (2° parte). Per chi (e perché) si scrive
Scrivere, come tutte le forme d’arte, è terapeutico. Dato per assunto, il secondo dubbio è questo: perché, e per chi, si scrive?
Quando avevo 11 anni, uscì il film “It”, tratto dall’omonimo bestseller di Stephen King, un film che più del libro è rimasto nell’immaginario collettivo. Nel fantasmagorico mondo del wrestling (mondo che come ormai saprete amo) la maggiore federazione mondiale della Disciplina puntò sull’effetto clown cattivo per un nuovo personaggio. Doink The Clown resta uno dei personaggi meglio caratterizzati, oltre ai vari Undertaker, Sting, Ric Flair, Stone Cold Steve Austin e pochi altri.
Guardare quel film fu per me un’epifania: mi procurai il libro subito dopo, e lo lessi avidamente. Il seme gettato dal film germogliò con la lettura del libro, e fu allora che capii che era quello che volevo fare come hobby. Nel corso degli anni, ho cominciato e messo da parte molti hobby, ma quello resta.
Iniziai a scrivere perché pensavo di poter dire la mia, di poter dare nuove chiavi di lettura a molte storie. Col passare del tempo, poi, le idee fioccarono, e il piacere che provavo nel farlo mi convinse a non abbandonare questa strada per esprimermi.
Il “perché” si riassume in questo: pensare di poter dare qualcosa al mondo dell’arte prima, la droga in cui si trasforma per il piacere che si prova dopo. È comune negli scrittori, come ho avuto modo di scoprire col tempo. Non puoi farne a meno, per i due motivi appena citati.
“Per chi” è in parte collegato. Il piacere della scrittura è masturbazione, lo si fa per se stessi. Ma, se ci si pone in modo costruttivo davanti al foglio di carta, alla macchina da scrivere, al computer, non si può sottovalutare la responsabilità che si ha verso i lettori.
Se si scrivesse sempre e solo per se stessi, uno scrittore non manderebbe i suoi lavori alle case editrici o ai concorsi. Il sentirsi dire “bravo” fa ovviamente piacere, ma alla prima critica si smetterebbe. In un percorso corretto, invece, il plauso diventa un segnale che si sta facendo bene, la critica un richiamo per qualcosa da aggiustare.
Ognuno di noi fa ciò che ama perché si sente il migliore nel farlo. Non parlo di lavoro, quello a volte è imposto, ma di hobby. E sentirsi il migliore nella scrittura porta a responsabilizzarsi nella stesura della trama.
Trattare di un ex soldato della guerra del Vietnam, per uno scrittore serio, porta a documentarsi sulla guerra stessa, sia per dare profondità alla storia, sia per il rispetto che man mano si sviluppa verso il lettore. Come si fa a dare qualcosa al mondo dell’arte se il messaggio è inquinato da inesattezze ed errori grossolani?
E, una volta pronti a scrivere, sentire il fuoco che arde dentro e lasciarlo finalmente libero… Quello ripaga tutte le fatiche.
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo il 8 marzo 2011 alle 16:40, ed è archiviato come Corso di scrittura, Parole al vento. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |