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1987-2011, ciao SuperSic
Non guardo molto la televisione, men che meno la MotoGp: questa tipologia di sport l’ho abbandonata dal ritiro, poi rientrato, di Michael Schumacher. Ma alcuni esponenti del mondo delle due e delle quattro ruote non si possono non conoscere, e Marco Simoncelli era tra questi.
Lo seguivo molto di più su Virgin Radio, dove con Ringo (altro appassionato di motociclette) aveva dato vita a uno dei programmi più apprezzati della radio votata al rock. Così, quando la mattina del 23 ottobre mi sono connesso a Facebook e ho cominciato a vedere messaggi a lui dedicati, dal significato palese, ho pensato ai suoi dialoghi, a volte surreali, con il famoso speaker radiofonico.
Mi piace ricordarlo così, non per i suoi successi (che comunque restano, e segnano una vita che lo ha incoronato campione su tutti i fronti) ma per la sua ironia e la capacità di mettersi in gioco in un campo per lui nuovo. Ho visto le immagini dell’incidente al telegiornale, ovviamente, e devo dire che si è trattato di destino, null’altro. Motociclisti che scivolano in curva se ne vedono ogni gran premio, alcuni si rialzano e cavalcano di nuovo la moto in cerca della vittoria. Simoncelli è stato sfortunato, tremendamente sfortunato. Se non fosse sopraggiunto proprio in quel momento Colin Edwards, magari si sarebbe rialzato anche lui, per riprendere a correre a velocità assurde.
Questa tragedia mi fa ripensare alle tante morti nello sport. A Wouter Weilandt, 26enne ciclista belga, morto nel corso dell’ultimo giro d’Italia; al wrestler giapponese Mitsuharu Misawa, morto sul ring per una mossa sbagliata nel 2009. La lista potrebbe continuare all’infinito, ma proprio il parallelismo con il wrestling, disciplina che amo, mi fa fare alcune riflessioni. Agli atleti viene chiesto uno sforzo superiore rispetto alle loro capacità, e questi, diciamo pure eroi, si prestano a tutto per il pubblico. Non parlo solo di wrestling, sia chiaro: quanto è duro un giro come il Tour de France? E quanto è pericoloso il motociclismo o la Formula 1? Sì, sono strapagati, ma scommetto che pochi di quelli che si lamentano delle cifre esorbitanti con cui vengono retribuiti i piloti, prenderebbero gli stessi rischi a cuor leggero. Alex Zanardi ci ha rimesso le gambe, e solo la sua vitalità gli ha evitato una fine peggiore. Ciò che accomuna tutti gli atleti di sport “estremi” è la loro dedizione alla causa: per amore del pubblico fanno cose che il 99% della popolazione mondiale non farebbe mai. E questo va oltre la paga: molti lo farebbero ugualmente, ciò che li spinge è la voglia e il piacere, non i soldi.
Alla base, se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo, c’è questo: è mai possibile che alcune persone, per sentirsi vive, devono viaggiare a braccetto con la morte lungo tutta la loro carriera agonistica? Guardando ciò che è successo al 24enne Simoncelli, la risposta è sì. E noi non possiamo che toglierci il cappello in un ultimo, doveroso, saluto. Adesso? Valentino Rossi, distrutto, dice di aver perso un fratello minore. Colin Edwards non correrà la prossima gara, non solo per le ferite riportate (nell’urto e conseguente caduta, pare essersi fratturato entrambi i polsi). Il team Gresini, nel quale militava il romagnolo, nemmeno parteciperà. Ma il prossimo anno? Di nuovo tutti in sella, per far contenti i fan che seguono sugli spalti e da casa. Onore a loro, non solo quando c’è una tragedia, ma ogni volta che si esibiscono per il pubblico. E onore a Marco Simoncelli.
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Stampa l'articolo | Questo articolo è stato pubblicato da Paolo il 25 ottobre 2011 alle 09:07, ed è archiviato come Parole al vento. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso RSS 2.0. Puoi pubblicare un commento o segnalare un trackback dal tuo sito. |